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martedì 24 luglio 2012

22 luglio Murgab-Kara Kul

22 luglio
Murgab-Kara Kul (132 km)
E’ l’alba, mi sveglio per andare alla toilette. Esco dalla casetta e mi godo lo spettacolo del sole che indora le cime dei monti. Prendo la macchina fotografica e scatto una foto, con la yurta in primo piano. Partiamo subito dopo colazione, alle 8.
La giornata è luminosa, l’aria cristallina e fresca. La strada si snoda tra i monti, costeggiando il fiume Akbaital. Il panorama è splendido: alla nostra sinistra si elevano cime di oltre 5500 metri, bianchissime, talune incappucciate dalle nubi, mentre a destra monti scabri, color ruggine, spiccano contro il cobalto del cielo. La strada conduce al passo Akbaital, a quota 4655 metri, dove  ci fermiamo. Scesi dalla moto immortaliamo il momento, scattando parecchie foto. Peccato che le cime siano parzialmente coperte dalle nuvole! Proseguiamo sobbalzando sulla sterrata che scende dal passo. Costeggiamo per parecchi chilometri la frontiera cinese. in alcuni punti corre vicinissima alla strada, solo pochi metri ci separano dalla Cina! Arrivati alla piana del lago Karakul, 3900/4000 metri di quota, lo scenario che si presenta ai nostri occhi ci lascia senza fiato: le acque del lago scintillano, più azzurre che mai, sullo sfondo di una catena di alte montagne, le cui vette candide brillano al sole. A destra s’innalzano altri picchi, coperti di neve. Non abbiamo mai visto niente di più spettacolare! Decidiamo di fermarci in questo villaggio. Troviamo da dormire alla homestay di Tildahan ed Erkin, molto pulita ed accogliente (19 dollari a testa, più altri 10 per tre pasti). Parcheggiamo la moto nel cortiletto e scegliamo la stanza in cui dormire. La famiglia è molto povera; nelle stanze il mobilio è  pressoché inesistente, ma si nota il tocco femminile: vasi di fiori alle finestre, leggere tende ricamate, un piccolo mobile dipinto di azzurro con fiori rosa applicati a decoupage funge da lavandino esterno. La famiglia è molto povera, come tutti in questo villaggio. Non c’è acqua corrente, Tildahan e la figlia maggiore fanno il bucato, in grandi catini di ferro, accovacciate in angolo del cortiletto. Una bimbetta di un paio d’anni scorazza avanti e indietro, osservandoci da lontano. Ci sono altri due bambini, un ragazzino di una decina d’anni e una bambina di poco più grande. Lui trasporta i bidoni d’acqua con una carriola, lei spazza le stanze o accudisce alla sorellina. Mentre pranziamo con uova al tegamino e salame abbrustolito, sopraggiunge il motociclista danese incontrato precedentemente. Grandi saluti ed anche lui si accomoda sugli strapuntini accanto a noi e mangia di gusto. La nostra ospite ci serve anche alcuni dolcetti e un’ottima marmellata casalinga di lamponi. Le ore scorrono pigre, ci sentiamo a nostro agio in questo piccolo cortile, al sole, osservando la vita della famigliola. La doccia si rivela un’interessante esperienza. Si entra in una casupola dove, da una stanzina che funge da spogliatoio, si entra in una seconda, caldissima, contenente un grosso serbatoio con acqua bollente. Tildahan mi porta un grande secchio con acqua gelida, un bricco ed un secondo secchio con cui attingere l’acqua calda. Mi lavo così, immersa nel vapore odoroso di legno, a 3990 metri di quota…sentendomi felice.
La cena è molto semplice, una specie di pastasciutta con patate e carote, yogurt e i lamponi. Dopo cena ci ritiriamo nella casetta per gli ospiti a conversare con Morten, il motociclista danese, fino a che la luce, prodotta da un piccolo generatore, non si spegne all’improvviso. Troviamo le torce e, rapidamente, ci prepariamo per la notte. Stendiamo i nostri sacchi a pelo sui piumini che Tildahan ha sistemato, in doppio strato, sul tappeto. Alle 3,30 ci svegliamo per andare alla toilette. Dobbiamo vestirci completamente, infilare giacca e stivali ed uscire nella notte fredda. Il fiato esce dalla bocca come vapore, alzo gli occhi al cielo e…Dio quante stelle! Distinguo chiaramente il Carro dell’orsa maggiore, la via Lattea e una quantità incredibile di stelle luminose. Restiamo alcuni minuti, rapiti, in silenzio, ad ammirare il cielo, poi torniamo ai nostri caldi sacchi a pelo.









































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