Dopo una parca colazione con le
nostre provviste vediamo arrivare un giovane, che ha un camioncino, a cui il
nostro ospite ha telefonato. Dice che può portarci ad Ulan Bataar caricando la
moto, ma che per i primi
300
km dovremo viaggiare sul cassone perché deve portare a
Moron quattro persone. Ci accordiamo per 300 dollari a patto che io viaggi
nella cabina e che dopo Moron si sia solo noi e lui e che si arrivi il più in
fretta possibile. Errore madornale fidarsi della parola di uno sconosciuto!
Quando torna alla gher con i quattro ( un grassone, una grassona dai capelli
bisunti e dallo sguardo cattivo, una ragazza e un bambino) sento un brivido e
dico a Knut:” non mi piacciono, ho un feeling negativo” . -E’ la nostra unica
possibilità, non possiamo restare bloccati in questo piccolo villaggio.
Sopportiamo per
300 km
poi andrà meglio- risponde Knut. Dopo aver perso la mattinata per le
riparazioni alla ruota del camion imposte da Knut e non prima che il grassone e il nostro ospite
si siano scolati una bottiglia di vodka, ha inizio un viaggio infernale, Knut
seduto su dei sacchi di sale, sotto la pioggia che ha iniziato a scendere, io
rannicchiata nello spazio dietro i tre sedili, occupati dai tre più l’autista,
insieme al ragazzino e a borse, sacchetti vari e indumenti. Il grassone è
ubriaco fradicio, canta e ogni tanto mi guarda e dice” I’m sorry” poi ride
sguaiatamente, la donnona parla a raffica, il ragazzino quando non dorme
vomita. Io mi chiedo se sto vivendo in un incubo. Poi guardo Knut là fuori
sotto l’acqua che stringe una delle corde che legano la moto e stringo i denti.
Si viaggia a rilento perché la pista è fangosa. Verso le 18 arriviamo in un
villaggio, sosta per mangiare, dove i quattro si abbuffano di cibo finchè,
trascorsa quasi un’ora alziamo la voce e li obblighiamo a ripartire. Nel
frattempo l’autista ci informa che si uniranno a noi il padre, alla guida di un
camion e degli amici su di un pullmino. Allora capiamo a cosa era dovuta tutta
quest’attesa. Allora pretendiamo che Due persone salgano sugli altri mezzi e
Knut in cabina. Così ripartiti riusciamo a percorrere solo una quindicina di
chilometri perché ormai è buio e la pista è un fango unico su cui le ruote
slittano, difatti c’impantaniamo. L’autista serafico ci dice che bisogna
aspettare la mattina affinchè l’altro camion possa trainarci fuori. Passiamo la
notte in un dormiveglia, seduti scomodamente e al freddo, sentendo i morsi
della fame dato che abbiamo saltato il pranzo e cenato con un po’ di pane e
cioccolata. Alle prime luci di un’alba livida l’altro camion riesce a tirarci
fuori dal fango e la marcia prosegue, con soste continue per aiutare il
pullmino, sgangherato al massimo, che si guasta di continuo. Solo verso le
18,30 arriviamo nei pressi di Moron, ma anziché portarci in hotel e scaricare i
quattro, scopriamo che l’autista intende proseguire subito e fa salire con noi
la ragazza, sua sorella, il bambino e un’altra bambina che prima stava sul
pullmino. A quel punto diciamo chiaramente che un’altra notte all’addiaccio non
intendiamo passarla né tantomeno proseguire con altri persone in cabina, che i
patti non erano questi. Per farla breve il ragazzo diventa aggressivo così come
i due grassoni, parenti suoi capiamo, vogliono scaricarci in mezzo alla strada
con la moto rotta, a
5 km
dalla città e pretendono da noi 200 dollari. Cominciamo a discutere e quando
ricevo un colpo nelle costole dalla megera comincio ad urlare alle auto che
passano:” Help! Call the police, please!” così due auto si fermano e un uomo che parla inglese cerca di mediare
tra noi. A quel punto abbiamo richiamato molta attenzione e l’autista acconsente a portarci in città,
all’hotel, ma vuole almeno 150 dollari. La faccenda volge al peggio quando
anziché fermarsi ad un hotel o ad un distributore di benzina, come chiediamo,
si addentra nelle stradine sterrate di una bidonville dicendo che andiamo a
casa di sua sorella, la cui madre è la donnona orrenda, per farsi aiutare a
scaricare il BMW. Capisco che saremo perduti e inizio a gridare a Knut, che è
sul cassone, le cattive intenzioni. Nel frattempo però siamo nella loro strada
e il camion è presto accerchiato dai loro parenti e amici. Ho paura, capisco
che finisce male, allora continuo a parlare col ragazzo, usando un tono calmo e
cercando di far leva sul suo senso di colpa, che percepisco debba sentire, gli
chiedo di rispettare almeno la richiesta di scaricarci ad una stazione di
servizio. Acconsente, ma fa salire il grassone vicino a me e, mentre partiamo,
Knut si prende una sassata da uno dei cugini. Arrivati da un benzinaio scarichiamo
moto e bagagli e, mentre chiedo ai benzinai di chiamare un taxi, vedo che i due
hanno sottratto una delle borse d’alluminio e stanno altercando con Knut.
Vogliono più dei 100 dollari che lui dà loro. Quando la lite degenera e il
ragazzo brandisce una barra di ferro e minaccia Knut imploro i benzinai di
chiamare
la polizia.
Intanto corro fuori e mi interpongo tra i due. Il ragazzo è
quasi fuori controllo dopo che Knut gli ha dato del mentitore infilandogli la
banconota in bocca. Knut lo minaccia di dire alla polizia, che è in arrivo, che
abbiamo viaggiato in sei su di un mezzo omologato per tre. Allora decido che
dei soldi non m’importa, che magari la polizia non arriverà e che è meglio
salvare la pelle, perciò prendo altri 50 dollari e li dò al ragazzo
chiedendogli di ridarmi il mio bagaglio. Così se ne vanno. Poco dopo
sopraggiunge un’automobile della polizia e, con l’aiuto della gentile
benzinaia, spieghiamo l’accaduto. Dato che non vogliamo sporgere denuncia, ci
chiamano un taxi e ci fanno accompagnare in hotel. Siamo a pezzi, ma una doccia
calda e una cena sostanziosa ci ridanno un po’ di energia. Siamo più sollevati
quando riusciamo a contattare la Wilbers, la ditta tedesca che produce
l’ammortizzatore, e ci assicurano di poter spedire un nuovo ammortizzatore a
Ulan Bataar in tre/quattro giorni.
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