7 luglio
Turkmenistan
Alle 7 abbiamo consumato un’ottima colazione, preparata da
Mansoura e sua sorella, poi è arrivato il momento dei saluti e dei
ringraziamenti. Due dei fratelli ci hanno scortato fino alle porte della città,
dove ci siamo accomiatati…con gli occhi lucidi. Alle 9,15 circa siamo giunti alla
dogana iraniana e…ne siamo usciti dopo due ore circa trascorse a correre avanti
e indietro e su e giù per diversi uffici per espletare le procedure
burocratiche di uscita. Altre tre ore buone invece le abbiamo passate a quella
turkmena, dove a correre avanti e indietro coi nostri passaporti è toccato a un
giovane soldatino. Anche qui la burocrazia è estenuante e…senza senso. Abbiamo
dovuto pagare tra visti e tasse varie circa 230 dollari! Il problema è stato
incontrare la persona inviata dall’agenzia. Ci aveva raccomandato di non
lasciare nel modo più assoluto la dogana da soli, pena una multa salatissima. E
noi, non vedendolo, abbiamo atteso. Poi, chieste informazioni agli addetti
doganali, abbiamo capito di doverlo aspettare fuori. Ma una volta usciti…dell’uomo
non c’era traccia. Trascorsa un’altra mezz’ora, sotto il sole delle 14 ora
locale, tra telefonate e richieste di informazioni, abbiamo capito che la fine
della dogana era…30 chilometri più avanti! Difatti l’agente dell’agenzia era là
ad aspettarci! Dopo di che in breve siamo entrati nella surreale capitale del
Turkmenistan: Ashgabat. Che contrasto con il Paese appena lasciato! Qui tutto è
nitido, bianco abbagliante e oro, ma…vuoto! Pochissime auto, nessun passante in
giro, palazzi marmorei, giardini, fontane e, soprattutto ovunque le
gigantografie del megalomane passato presidente Niyazov.
L’impressione più forte, varcando la frontiera, è stata
quella di sentire come scivolar via la sensazione di disagio, di oppressione
che mi ha accompagnato da quando avevo messo piede in Iran.
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